Il Vedanta la Visione di Dio

Chi non conosce l’Induismo, può pensare che induismo e Vedanta siano sinonimi, questo perché molti maestri induisti, venuti dall’India ad insegnare in occidente, erano Vedantisiti.
Il Vedanta è una dei sei darshana (punti di vista) dei sei sistemi di filosofia Indiana, detti “astika”, perché riconoscono l’autorità dei Veda.
Il Vedanta “summa dei Veda” considera le Upanishad la parte più illuminante dei Veda, ed è anche conosciuto come Uttara Mimamsa “Ultima Investigazione”.
Da più di mille anni il Vedanta è una delle correnti teologiche più importanti dell’India. Questo è dovuto al grande impatto del pensiero riformatore di Shankaracharya e alla reazione contro di lui dagli eccelsi maestri Vedantici, Ramanunjacharya e Madhvacharya.
Da questi tre grandi riformatori nascono tre grandi scuole di pensiero su come vivere e interpretare la realtà finale e il nostro rapporto con essa.
Adi Shankaracharya (788-820 d.c. ) è il fondatore del pensiero Advaita “Non duale” che probabilmente è la più conosciuta delle scuole Vedanta. Questo grande genio e riformatore vive in un momento storico in cui l’Induismo incontra grandi difficoltà, surclassato da nuovi pensieri religiosi quali il Buddismo e il Jainismo. Shankara viaggiò in tutta l’India, dando nuova linfa all’induismo grazie alla sua grande personalità e devozione.
Shankara non era d’accordo con i maestri Sankhya (una dei sei dharshana), i quali sostenevano che la materia e lo spirito sono separati e che quindi la realtà è duale. Per Shankara, lo spirito o pura coscienza è la sola realtà. Analizzando i tre stati di esperienza, camminare, sognare e sonno profondo – stabilisce la realtà unica di Brahman, dove l’anima e Brahman sono la stessa cosa.
Ramanujacharya (1040-1137 d.c.), non accetta la tesi di Shankara che noi anime individuali in qualche maniera siamo simili in essenza con Dio. La sua visione Vedantica, viene chiamata Visishta advaita “quasi ma non esattamente due”.
Secondo Ramanuja, noi anime possiamo sperimentare l’unione con Brahman non l’unità. Noi possiamo riconoscere la nostra unità in Brahman, ma non perdiamo mai la nostra identità. L’ Anima Suprema ha una forma, un nome e degli attributi. Vede Vishnu in questa forma e sostiene che la realtà ha 3 aspetti: Vishnu, l’anima (Jiva) e la materia (prakriti). Vishnu è l’unica realtà indipendente, mentre l’anima e la materia sono dipendenti da Vishnu per la loro esistenza.
Anche Madhvacharya (1238-1317 d.c.) come Ramanuja identifica Brahman con Vishnu, ma la sua visone della realtà è pluralistica. La sua scuola di Vedanta è chiamata Dvaita “Dualista”. Secondo questo pensiero il mondo, noi e Dio siamo reali, eterni ed individuali.
Il pensiero Dvaita identifica 3 realtà: Vishnu, anima e materia. Di queste realtà Madhvacharya formula 5 distinzioni: 1) Vishnu è distinto dalle anime 2) Vishnu è distinto dalla materia 3) Le anime sono distinte dalla materia 4) Un anima è distinta da un’altra anima 5) La materia è distinta dalla materia. Secondo questa teologia le anime sono eterne, immortali e dipendono dalla volontà di Vishnu.
Il più grande contributo del pensiero Vedantico è la realizzazione che la coscienza individuale è continua ed indistinguibile dalla coscienza di Brahman.
Chi detiene la vera Visione di Dio? Ognuno di questi grandi maestri è come uno dei 6 cechi della parabola di Godfrey Saxe che cercano di capire com’è fatto un elefante, toccandolo con le mai. Uno sente la proboscide, l’altro le orecchie, un’ altro le gambe, il quarto uomo sente la coda, il quinto la pancia e il sesto si pone a cavalcioni sopra l’animale. Ognuno di essi trae una conclusione esatta ma parziale dalla propria esperienza. Così è Dio, immensamente grande, che la percezione della sua realtà può essere si corretta ma limitata.
Om Tat Sat
Il messaggio dell’Advaita è cosi semplice che, talvolta approfondendo un autore, che porta avanti una sua visione, si sviluppano alcuni aspetti particolari e si rischia di non cogliere l’ovvietà del messaggio a monte, che è di per sè illuminante. Provo a riassumere il concetto di base dell’Advaita con un linguaggio accessibile.
C’è un unica sostanza, lo spirito eterno. Questo spirito eternamente “è” ma non si auto percepisce. Per percepirsi infatti bisogna essere almeno in due, c’è bisogno di un soggetto che vede un oggetto. Allora lo spirito si organizza in mille forme viventi, dotate di sensi tra le quali l’uomo.
Perchè lo fa? Per potersi percepire, conoscersi e fare esperienza di se, proprio tramite i sensi di queste forme viventi. Un esempio: L’uomo mentre vive in un ambiente diversificato, vede, sente tocca, il cane che a sua volta fa lo stesso con l’uomo, così vale per la capra, che esperisce la rondine ecc. Questa interazione continua è tutta un illusione perchè alla fin fine è lo spirito che vede se stesso tramite le forme viventi che ha creato. Compreso? Spero di si!
Adesso però viene il bello. In tutto questo gioco apparente, si genera un grave inconveniente.
Le forme interagiscono e si prendono sul serio, dimenticandosi di essere solo oggetti nelle mani dello spirito, si credono indipendenti ed autonome. In particolare l’uomo si crede indipendente e a se stante, si sente separato e per questo minacciato. Per questo motivo soffre. Per uscire da questa condizione (dovuta ad una erronea interpretazione) egli si pone degli scopi, lotta per obiettivi propri e soffre nella vita per ciò che non gli va bene. Ma questa lotta non fa altro che peggiorare le cose, perchè parte dal presupposto di un essere separato. L’Advaita afferma che per smettere di soffrire si debba uscire dall’illusione di essere soggetti a se stanti, riconoscere la verità di un unico spirito. Nel momento in cui ci si renderà conto di essere solo una forma che lo spirito si è data, scomparirà la soggettività e la sofferenza individuale che a lei si lega. Una volta compreso che l’uomo è in realtà spirito eterno, l’essere umano tornerà al vero Se. Con tale ritorno ogni sofferenza cessa in quanto non appartiene a nessuno, non è mai esistito nessun individuo separato ma solo lo spirito eterno, l’unica Coscienza.
Namastè Claudio. Se tu pensi che la tua via sia quella del Brahman impersonale, dove l’effetto di ascesa cosciente si annulla nella realizzazione, allora quella è la tua vita e quella sarà la tua realizzazione personale. Personalmente seguo la visione Vedantica Dvaita (quindi come vedi sono già distinto dalla tua visione), dove la relazione è nella profonda e devota realizzazione tra il Brahman personale (Vishnu) e il (Jiva) anima individuale. Quindi la verità è un sentiero personale.
Perdona la mia ignoranza ma da un po’ sono alla ricerca di un sentiero perso tempo fa. Se ho ben capito, lo spirito eterno non si auto percepisce (occhio non vede se stesso), e quindi ha bisogno di vedersi e di sentirsi. Ma non è troppo limitativo?
Grazie
Perché, è solo una condizione che noi ci supponiamo. Dio la persona suprema è in noi e fuori di noi allo stesso tempo. Con noi percepisce ma noi possiamo percepirlo allo stesso tempo. Tutto è individuale e paradossalmente unito.
Om Shanti.